Da quel giorno cominciò a seguirla ovunque andasse.
Quando la vedeva andare al mercato si piazzava in mezzo alle bancarelle e cominciava a suonare. Se la vedeva andare in chiesa si posizionava sul sagrato, suonando in cambio di qualche povera elemosina, solo per vederla passare alla fine della messa.
Lorenzo provò a dissuaderlo più di una volta, ma Andrea sembrava non sentire. Aglaia era diventata la sua ragione di vita, non avrebbe potuto smettere di vederla nemmeno volendo.
"In fondo non sto facendo nulla di pericoloso. Non le ho mai nemmeno parlato."
"Alcibiade ha orecchie e occhi ovunque, Menestrello. Devi stare attento. E devi continuare a non rivolgerle la parola. Inoltre..."
"Lorenzo, basta! Ho capito, va bene?"
"Lasciami finire, Menestrello. Pare che tu non vada troppo a genio ad Alcibiade. Non penso abbia qualcosa a che fare con Aglaia, ma pare che cerchi solo un pretesto per sbatterti in prigione. E le prigioni del barone non sono affatto come i suoi appartamenti, credimi."
"Va bene Lorenzo. Farò attenzione."
"Sei pazzo, Menestrello. Forse più pazzo di me."
E su queste parole, Lorenzo svanì in una nube di fumo, lasciando dietro di sè solo la sua folle risata.
Andrea si incamminò verso il castello. Quella sera doveva suonare ad una festa indetta dal barone per festeggiare un'alleanza con il feudo vicino. Giunse alle mura, superò il portone principale ed entrò nel cortile, imboccando la scalinata che portava alla sala delle cerimonie. Le scale erano contornate di edera e altri rampicanti, e il profumo dei fiori era intenso e quasi inebriante.
Era a metà della scalinata quando la vide. Aglaia stava scendendo le scale e si dirigeva verso di lui. Gli sembrò che il tempo si fermasse. Fece un profondo inchino, sforzandosi di non guardarla negli occhi e attendendo che lo superasse.
"Menestrello."
Gli stava parlando! Si sforzò di rimanere calmo, ma il cuore gli batteva a un ritmo vorticoso.
"Sì, madama."
"Alzatevi."
Andrea si alzò, sempre evitando di guardarla in volto.
"Seguitemi, prego."
Andrea la seguì come un automa, senza reagire nè fare domande, limitandosi a godere della sua vista e della sua presenza. Arrivarono a un piccolo balcone situato sulla scalinata qualche rampa più in basso di dove si erano incontrati. Aglaia si fermò.
"Menestrello."
"Sì, madama."
"Suonate una musica meravigliosa."
Per un attimo Andrea non sentì più nulla, nè il suo respiro, nè il vento, nè il battito del suo cuore.
"Grazie, madama."
"E ho notato che mi seguite ovunque."
Andrea si irrigidì immediatamente. Sentì il pericolo, e maledisse la sua cocciutaggine nel non ascoltare Lorenzo.
"Madama, io..."
"Silenzio."
Andrea ammutolì all'istante.
"Penso quindi di non sbagliare facendo quanto sto per fare."
Senza preavviso, lo baciò. Andrea per qualche secondo non reagì, poi si abbandonò a quel bacio appassionato, dolce ed appagante quanto inaspettato.
Dopo un po' lei si staccò dalle sue braccia, e lo lasciò con un sorriso.
"Devo andare."
Quel sorriso era stato il colpo finale, la freccia scagliata dal cacciatore all'animale già ferito dai cani. Era suo, irrimediabilmente, senza possibilità d'appello.
Dopo qualche secondo Andrea riprese a salire verso la sala delle conferenze. I suoi piedi erano leggeri, e non sentiva la fatica della salita.
Nascosto nell'ombra, Lorenzo aveva osservato tutto.
"Adesso sei veramente nei guai, Menestrello. Non so se riuscirai ad uscirne."
Si incamminò dietro all'amico, agitando i sonagli e ridendo follemente.
mercoledì 11 agosto 2010
sabato 3 luglio 2010
Capitolo 7 - Aglaia
Nel frattempo Andrea stava ultimando l'ultima serie di accordi. Finalmente terminò. Il pubblico rimase fermo al suo posto, come paralizzato. Andrea si alzò, e il suo movimento sembrò riscuotere tutti. I presenti cominciarono ad allontanarsi lentamente in direzioni differenti. La festa era finita. Per Andrea, nemmeno un applauso. Il menestrello sorrise: gli andava bene così. Non sapeva perchè, ma dentro di sè aveva la certezza di averli conquistati. Cominciò a scendere dal palco, e fu allora che la vide.
La ragazza procedeva lentamente lungo la via principale verso le mura del paese. Si girò per un attimo, e ad Andrea sembrò che stesse guardando lui. Ritrasse lo sguardo, e finse di essere indaffarato. Quando si fu allontanata abbastanza cominciò a seguirla, senza sapere perchè. Certo, era bella, ma non così tanto da giustificare la sua reazione. Eppure c'era qualcosa in lei che lo attraeva irresistibilmente, che colpiva i suoi sensi e il suo cuore allo stesso tempo.
La ragazza sembrava non essersi accorta di Andrea e camminava verso la campagna. I capelli biondi scintillavano al tramonto, tingendosi di un rosso tanto intenso da sembrare innaturale.
Salì su una collina, e Andrea la perse di vista per un secondo. Quando giunse in cima vide che si stava dirigendo a un fiume circondato da un piccolo bosco. Non l'aveva notato quando era arrivato. La ragazza si fermò sulla riva, guardando l'orizzonte. Andrea si acquattò dietro uno degli alberi, in un punto in cui riusciva a vederla di profilo. La sua espressione sembrava triste, ma poteva essere anche dovuta al riverbero dell'acqua.
Il tempo sembrava immobile, e più la osservava, più il suo sentimento cresceva.
"Ma guarda un po' chi abbiamo qui!"
La voce di Lorenzo lo fece trasalire.
"Ma da dove diavolo spunti, tu?"
"Senti chi parla. Sei appena arrivato e fai già domande!"
"Abbassa la voce, per l'amor di Dio."
Lorenzo iniziò a sussurrare.
"Va bene. Ma perchè?"
Andrea gli indicò la ragazza. Lorenzo girò lo sguardo e si irrigidì, diventando improvvisamente serio.
"Lascia perdere, menestrello. Non è cosa per te."
"Come si chiama?"
"Ti ho detto di lasciar perdere."
"Solo il nome Lorenzo. Dimmi solo il suo nome."
Lorenzo sospirò profondamente.
"Si chiama Aglaia. E' la figlia di Alcibiade, il Giudice Supremo, promessa sposa di uno dei vassalli del Barone. Lascia perdere, te lo ripeto. Finiresti solo per cacciarti nei guai."
Andrea non gli rispose.
Aglaia. Si chiamava Aglaia. Tutto il resto non importava.
La ragazza procedeva lentamente lungo la via principale verso le mura del paese. Si girò per un attimo, e ad Andrea sembrò che stesse guardando lui. Ritrasse lo sguardo, e finse di essere indaffarato. Quando si fu allontanata abbastanza cominciò a seguirla, senza sapere perchè. Certo, era bella, ma non così tanto da giustificare la sua reazione. Eppure c'era qualcosa in lei che lo attraeva irresistibilmente, che colpiva i suoi sensi e il suo cuore allo stesso tempo.
La ragazza sembrava non essersi accorta di Andrea e camminava verso la campagna. I capelli biondi scintillavano al tramonto, tingendosi di un rosso tanto intenso da sembrare innaturale.
Salì su una collina, e Andrea la perse di vista per un secondo. Quando giunse in cima vide che si stava dirigendo a un fiume circondato da un piccolo bosco. Non l'aveva notato quando era arrivato. La ragazza si fermò sulla riva, guardando l'orizzonte. Andrea si acquattò dietro uno degli alberi, in un punto in cui riusciva a vederla di profilo. La sua espressione sembrava triste, ma poteva essere anche dovuta al riverbero dell'acqua.
Il tempo sembrava immobile, e più la osservava, più il suo sentimento cresceva.
"Ma guarda un po' chi abbiamo qui!"
La voce di Lorenzo lo fece trasalire.
"Ma da dove diavolo spunti, tu?"
"Senti chi parla. Sei appena arrivato e fai già domande!"
"Abbassa la voce, per l'amor di Dio."
Lorenzo iniziò a sussurrare.
"Va bene. Ma perchè?"
Andrea gli indicò la ragazza. Lorenzo girò lo sguardo e si irrigidì, diventando improvvisamente serio.
"Lascia perdere, menestrello. Non è cosa per te."
"Come si chiama?"
"Ti ho detto di lasciar perdere."
"Solo il nome Lorenzo. Dimmi solo il suo nome."
Lorenzo sospirò profondamente.
"Si chiama Aglaia. E' la figlia di Alcibiade, il Giudice Supremo, promessa sposa di uno dei vassalli del Barone. Lascia perdere, te lo ripeto. Finiresti solo per cacciarti nei guai."
Andrea non gli rispose.
Aglaia. Si chiamava Aglaia. Tutto il resto non importava.
venerdì 25 giugno 2010
Capitolo 6 - Il Giudice
Andrea non notò l'assenza di Lorenzo. Continuò a suonare, delicatamente, raccontando la storia dell'infelice amore tra una farfalla e una fata. Due esseri meravigliosi, destinati a rimanere separati per via delle loro differenze.
La folla ascoltava in religioso silenzio, partecipando a quella storia stravagante come se fosse la propria. In un angolo, in disparte, un uomo basso e ben vestito si guardava intorno stupito. Non capiva l'interesse circostante per il nuovo arrivato. Non apprezzava la musica del menestrello, anzi, la trovava detestabile e priva di gusto. In generale non amava nessun tipo di musica, ma quella di Andrea suscitava in lui un astio particolare.
L'uomo aveva un viso duro come la roccia, serio e arcigno, del tutto incapace di provare alcun sentimento. Osservava Andrea, e più lo osservava, più il suo odio verso di lui cresceva.
Percepiva nel menestrello una minaccia per l'ordine e la sicurezza di Apate, ordine e sicurezza di cui lui era il custode e il controllore.
I suoi vestiti tradivano la sua carica, ottenuta dal Barone per gli ottimi servigi svolti per la sua casata. Il duro lavoro lo aveva portato, da semplice scrivano qual era, a diventare tutto quello che aveva sempre desiderato essere: giudice supremo. Poteva decidere della vita o della morte di qualunque cittadino di Apate, sia nobile che plebeo. Un potere enorme, inimmaginabile, forse persino più grande di quello dello stesso Barone.
Alcibiade era l'uomo più temuto di Apate, e tuttavia quel menestrello lo inquietava. Ascoltarlo gli faceva crescere un brivido lungo la schiena, quasi che fosse venuto per portargli via tutto quello che si era faticosamente conquistato.
"E' solo un cantore. Cosa potrà mai farmi?" pensava, cercando di scacciare quella sensazione, ma quella ritornava più forte di prima, fastidiosa e insistente come una goccia che scava la roccia, facendo aumentare i suoi timori. E più i timori crescevano, più Alcibiade provava l'irresistibile impulso di far arrestare lo straniero. Purtroppo non aveva alcuna valida ragione per farlo. Ma li avrebbe avuti, ne era certo. Sarebbe bastato tenerlo d'occhio.
Alcibiade si allontanò verso casa mentre Andrea ancora suonava. Vedendolo tornare, la moglie si alzò per andargli incontro, ma il giudice la scansò con violenza, facendola cadere a terra. Alcibiade ignorò del tutto la donna, e si diresse a grandi passi verso il suo studio.
Chiuse la porta dietro di sè, e si versò un bicchiere di idromele.
"Andrea il menestrello" pensò "I tuoi giorni ad Apate saranno pochi e per nulla piacevoli".
Bevve l'idromele in un solo sorso, e rimase immobile a meditare.
La folla ascoltava in religioso silenzio, partecipando a quella storia stravagante come se fosse la propria. In un angolo, in disparte, un uomo basso e ben vestito si guardava intorno stupito. Non capiva l'interesse circostante per il nuovo arrivato. Non apprezzava la musica del menestrello, anzi, la trovava detestabile e priva di gusto. In generale non amava nessun tipo di musica, ma quella di Andrea suscitava in lui un astio particolare.
L'uomo aveva un viso duro come la roccia, serio e arcigno, del tutto incapace di provare alcun sentimento. Osservava Andrea, e più lo osservava, più il suo odio verso di lui cresceva.
Percepiva nel menestrello una minaccia per l'ordine e la sicurezza di Apate, ordine e sicurezza di cui lui era il custode e il controllore.
I suoi vestiti tradivano la sua carica, ottenuta dal Barone per gli ottimi servigi svolti per la sua casata. Il duro lavoro lo aveva portato, da semplice scrivano qual era, a diventare tutto quello che aveva sempre desiderato essere: giudice supremo. Poteva decidere della vita o della morte di qualunque cittadino di Apate, sia nobile che plebeo. Un potere enorme, inimmaginabile, forse persino più grande di quello dello stesso Barone.
Alcibiade era l'uomo più temuto di Apate, e tuttavia quel menestrello lo inquietava. Ascoltarlo gli faceva crescere un brivido lungo la schiena, quasi che fosse venuto per portargli via tutto quello che si era faticosamente conquistato.
"E' solo un cantore. Cosa potrà mai farmi?" pensava, cercando di scacciare quella sensazione, ma quella ritornava più forte di prima, fastidiosa e insistente come una goccia che scava la roccia, facendo aumentare i suoi timori. E più i timori crescevano, più Alcibiade provava l'irresistibile impulso di far arrestare lo straniero. Purtroppo non aveva alcuna valida ragione per farlo. Ma li avrebbe avuti, ne era certo. Sarebbe bastato tenerlo d'occhio.
Alcibiade si allontanò verso casa mentre Andrea ancora suonava. Vedendolo tornare, la moglie si alzò per andargli incontro, ma il giudice la scansò con violenza, facendola cadere a terra. Alcibiade ignorò del tutto la donna, e si diresse a grandi passi verso il suo studio.
Chiuse la porta dietro di sè, e si versò un bicchiere di idromele.
"Andrea il menestrello" pensò "I tuoi giorni ad Apate saranno pochi e per nulla piacevoli".
Bevve l'idromele in un solo sorso, e rimase immobile a meditare.
mercoledì 16 giugno 2010
Capitolo 5 - Il Menestrello
Andrea lo guardò perplesso.
"Oh no, è tua, non posso prenderla."
"Ma che dici, menestrello? Certo che puoi! Io non so suonare il liuto. Lo uso solo per divertire il mio signore, ma mi inventerò qualcosa di nuovo. Coraggio, prendilo"
Andrea sorrise, e prese quello che Lorenzo aveva chiamato liuto. Era diverso dalla chitarra, ma dopo qualche tentativo riuscì a trovare tutti gli accordi principali.
"Bene. E ora suona qualcosa per questi poveri disgraziati!"
Prima che potesse replicare Lorenzo lo spinse in mezzo alla folla. Con due balzi lo trascinò sul palco allestito al centro della piazza, dove tacitò i suonatori e richiamò l'attenzione della folla con una trombetta uscita da chissà dove.
"Madame e messeri. Sudditi. Il Barone vi manda il suo menestrello per allietare la vostra festa. Godetevelo!"
Andrea era pietrificato. Non aveva mai suonato le sue canzoni per altri che sua madre, e ora si ritrovava in una terra sconosciuta davanti a una folla che lo fissava. Cercò Lorenzo, ma questi era già sceso dal palco confondendosi con il pubblico.
Prese un profondo respiro, e accennò i primi accordi. Le note uscivano melodiose dal liuto, e la sua voce risuonava calma e serena nella piazza. Il pubblico, inizialmente rumoroso, si tacitò in un attimo, come se la musica di Andrea lo avesse ipnotizzato. La natura stessa sembrava ascoltare quel menestrello alle prime armi e le sue canzoni.
Gli accordi per i cittadini del villaggio erano nuovi, strani ad udirsi, ma piacevoli e delicati come il battito d'ali di una farfalla. Le parole raccontavano storie senza tempo, storie d'amore, d'amicizia, di lontananza. Storie di vita, storie di morte. Il villaggio ascoltava, si immedesimava, si perdeva nelle emozioni che la musica del menestrello era in grado di suscitare. Andrea suonava e cantava senza pensare, e percepiva le sensazioni dei presenti come se fossero le proprie. Era bello e spaventoso al tempo stesso.
In mezzo alla folla, Lorenzo lo osservava.
"Benvenuto ad Apate, Andrea. Ho la sensazione che ci resterai molto a lungo."
Sorrise tra sè, e si diresse danzando verso il castello.
"Oh no, è tua, non posso prenderla."
"Ma che dici, menestrello? Certo che puoi! Io non so suonare il liuto. Lo uso solo per divertire il mio signore, ma mi inventerò qualcosa di nuovo. Coraggio, prendilo"
Andrea sorrise, e prese quello che Lorenzo aveva chiamato liuto. Era diverso dalla chitarra, ma dopo qualche tentativo riuscì a trovare tutti gli accordi principali.
"Bene. E ora suona qualcosa per questi poveri disgraziati!"
Prima che potesse replicare Lorenzo lo spinse in mezzo alla folla. Con due balzi lo trascinò sul palco allestito al centro della piazza, dove tacitò i suonatori e richiamò l'attenzione della folla con una trombetta uscita da chissà dove.
"Madame e messeri. Sudditi. Il Barone vi manda il suo menestrello per allietare la vostra festa. Godetevelo!"
Andrea era pietrificato. Non aveva mai suonato le sue canzoni per altri che sua madre, e ora si ritrovava in una terra sconosciuta davanti a una folla che lo fissava. Cercò Lorenzo, ma questi era già sceso dal palco confondendosi con il pubblico.
Prese un profondo respiro, e accennò i primi accordi. Le note uscivano melodiose dal liuto, e la sua voce risuonava calma e serena nella piazza. Il pubblico, inizialmente rumoroso, si tacitò in un attimo, come se la musica di Andrea lo avesse ipnotizzato. La natura stessa sembrava ascoltare quel menestrello alle prime armi e le sue canzoni.
Gli accordi per i cittadini del villaggio erano nuovi, strani ad udirsi, ma piacevoli e delicati come il battito d'ali di una farfalla. Le parole raccontavano storie senza tempo, storie d'amore, d'amicizia, di lontananza. Storie di vita, storie di morte. Il villaggio ascoltava, si immedesimava, si perdeva nelle emozioni che la musica del menestrello era in grado di suscitare. Andrea suonava e cantava senza pensare, e percepiva le sensazioni dei presenti come se fossero le proprie. Era bello e spaventoso al tempo stesso.
In mezzo alla folla, Lorenzo lo osservava.
"Benvenuto ad Apate, Andrea. Ho la sensazione che ci resterai molto a lungo."
Sorrise tra sè, e si diresse danzando verso il castello.
Capitolo 4 - Il Giullare
Si sedette a terra per godersi il tramonto. Nel farlo, si accorse che i suoi vestiti erano cambiati: non indossava più jeans e maglietta, ma uno strano vestito rosso, con i pantaloni attillati e una giacca piena di ricami e sbuffi. Gli ricordava quelli degli sbandieratori del Palio di Siena. Li aveva visti da piccolo, quando suo padre lo aveva portato a vedere la storica corsa in Piazza del Campo. Ricordava ancora la foga dei fantini, l'entusiasmo della folla, la gioia della contrada vincitrice. Ricordava l'espressione di suo padre, un'espressione allegra, vitale, non ancora offuscata dal demone che ne avrebbe preso possesso pochi anni dopo.
Scacciò quel ricordo dalla sua mente e si alzò. Si incamminò verso le case che aveva intravisto, sperando di incontrare qualcuno. La campagna era però deserta, fatta eccezione per alcuni animali che pascolavano tranquilli nei recinti.
Quando arrivò al primo gruppo di abitazioni, Andrea cominciò a sentire dei canti provenire dalla chiesa. Proseguì in quella direzione. Le case sembravano completamente disabitate. Arrivò in una piazza stracolma. C'era chi danzava, chi beveva, chi urlava e rideva sguaiatamente, chi parlava in disparte. Tutti indossavano vestiti simili al suo, più o meno ricchi e decorati.
"Deve essere la festa del paese, o qualcosa di simile" disse Andrea tra sè.
"Sei proprio un attento osservatore, straniero!".
Andrea si voltò per vedere chi aveva parlato, ma non vide nessuno.
"Devo essermelo sognato."
"Dunque io sarei un sogno? Mi lusinghi, straniero. Peccato che tu non sia una bella fanciulla."
Andrea si voltò, e questa volta fece in tempo a scorgere un'ombra verde scivolare alle sue spalle. Attese un attimo, poi si girò di scatto. Seduto su uno scalino gli sorrideva un ragazzo poco più vecchio di lui. Il suo viso era beffardo e divertito, e indossava un vestito verde con dettagli gialli, insieme a uno strano cappello dello stesso colore. Nella mano destra stringeva quella che sembrava una chitarra, anche se più piccola e arrotondata.
"Bravo straniero, mi hai scoperto. Mi inchino alla tua maestria." Saltò giù dal muro, e si profuse in una buffa riverenza. Quando si rialzò, Andrea potè osservarlo meglio: aveva capelli rossi spettinati, e occhi di uno strano color giallo. Il vestito verde gli dava l'aspetto di un folletto.
"Chi sei?" chiese Andrea.
"Ottima domanda, straniero. Ottima ma difficile. Come posso sapere chi sono? Due minuti fa ero una persona triste, ora sono una persona allegra, tra poco chissà. Domanda difficile, difficile davvero".
Andrea era perplesso. Era tentato di allontanarsi, ma gli occhi dello strano ragazzo avevano una forza quasi magnetica. Era impossibile non trovarlo simpatico.
"Vedo che sei perplesso. Forse non era quella la domanda che volevi pormi. Forse volevi chiedermi altro. Gli uomini dicono sempre una cosa per un'altra."
"Sì, in effetti volevo solo sapere come ti chiami."
"Ma dillo subito, straniero. La precisione è importante. Sono Lorenzo, o per lo meno mi chiamano così. Sono al servizio del signore di queste terre disgraziate. Lo diverto, lo sollazzo, lo faccio sfogare. Vedessi com'è rilassato dopo avermi bastonato per bene! Insomma, mi guadagno il pane facendo il buffone, il matto, il folle. In poche parole, il mio lavoro è dire la verità. Sono un giullare."
Andrea annuì. Questo spiegava le sue stranezze. Lorenzo continuò a sorridergli, girandogli attorno e osservandolo compiaciuto.
"E dimmi, straniero... Tu come ti chiami? Qual è il tuo ruolo in questo mondo?"
"Non saprei, sono appena arrivato qui." rispose Andrea, esitante.
"Vuol dire che sei appena nato? Sembri piuttosto vecchio per essere un neonato. Sei forse una sorta di mostro?"
Lorenzo lo osservò ancora più da vicino, balzando da un lato all'altro e fermandosi solo per qualche secondo.
"No, no, nulla del genere. Intendevo dire che sono appena arrivato in queste terre."
"Ma insomma, straniero! Un po' di precisione, di grazia!"
Lorenzo si fermò un attimo, come per soppesarlo.
"Pensi di restare qui a lungo?"
"Sì, credo di sì."
"Allora dovremo trovarti qualcosa da fare, straniero. Non puoi restare qui se non sai fare nulla."
"Bè, so badare al bestiame..."
Lorenzo fece un gesto infastidito. "Di contadini e allevatori ne abbiamo già in abbondanza. Su, saprai fare qualcos'altro?"
"Ecco... So suonare e cantare, ma non so se..."
"Perfetto, ci siamo! Sei un menestrello dunque! Capiti a proposito, ne manca giusto uno a palazzo. Ecco, tieni."
Lorenzo si inchinò profondamente, e con fare solenne gli porse la bizzarra chitarra che teneva in mano.
Scacciò quel ricordo dalla sua mente e si alzò. Si incamminò verso le case che aveva intravisto, sperando di incontrare qualcuno. La campagna era però deserta, fatta eccezione per alcuni animali che pascolavano tranquilli nei recinti.
Quando arrivò al primo gruppo di abitazioni, Andrea cominciò a sentire dei canti provenire dalla chiesa. Proseguì in quella direzione. Le case sembravano completamente disabitate. Arrivò in una piazza stracolma. C'era chi danzava, chi beveva, chi urlava e rideva sguaiatamente, chi parlava in disparte. Tutti indossavano vestiti simili al suo, più o meno ricchi e decorati.
"Deve essere la festa del paese, o qualcosa di simile" disse Andrea tra sè.
"Sei proprio un attento osservatore, straniero!".
Andrea si voltò per vedere chi aveva parlato, ma non vide nessuno.
"Devo essermelo sognato."
"Dunque io sarei un sogno? Mi lusinghi, straniero. Peccato che tu non sia una bella fanciulla."
Andrea si voltò, e questa volta fece in tempo a scorgere un'ombra verde scivolare alle sue spalle. Attese un attimo, poi si girò di scatto. Seduto su uno scalino gli sorrideva un ragazzo poco più vecchio di lui. Il suo viso era beffardo e divertito, e indossava un vestito verde con dettagli gialli, insieme a uno strano cappello dello stesso colore. Nella mano destra stringeva quella che sembrava una chitarra, anche se più piccola e arrotondata.
"Bravo straniero, mi hai scoperto. Mi inchino alla tua maestria." Saltò giù dal muro, e si profuse in una buffa riverenza. Quando si rialzò, Andrea potè osservarlo meglio: aveva capelli rossi spettinati, e occhi di uno strano color giallo. Il vestito verde gli dava l'aspetto di un folletto.
"Chi sei?" chiese Andrea.
"Ottima domanda, straniero. Ottima ma difficile. Come posso sapere chi sono? Due minuti fa ero una persona triste, ora sono una persona allegra, tra poco chissà. Domanda difficile, difficile davvero".
Andrea era perplesso. Era tentato di allontanarsi, ma gli occhi dello strano ragazzo avevano una forza quasi magnetica. Era impossibile non trovarlo simpatico.
"Vedo che sei perplesso. Forse non era quella la domanda che volevi pormi. Forse volevi chiedermi altro. Gli uomini dicono sempre una cosa per un'altra."
"Sì, in effetti volevo solo sapere come ti chiami."
"Ma dillo subito, straniero. La precisione è importante. Sono Lorenzo, o per lo meno mi chiamano così. Sono al servizio del signore di queste terre disgraziate. Lo diverto, lo sollazzo, lo faccio sfogare. Vedessi com'è rilassato dopo avermi bastonato per bene! Insomma, mi guadagno il pane facendo il buffone, il matto, il folle. In poche parole, il mio lavoro è dire la verità. Sono un giullare."
Andrea annuì. Questo spiegava le sue stranezze. Lorenzo continuò a sorridergli, girandogli attorno e osservandolo compiaciuto.
"E dimmi, straniero... Tu come ti chiami? Qual è il tuo ruolo in questo mondo?"
"Non saprei, sono appena arrivato qui." rispose Andrea, esitante.
"Vuol dire che sei appena nato? Sembri piuttosto vecchio per essere un neonato. Sei forse una sorta di mostro?"
Lorenzo lo osservò ancora più da vicino, balzando da un lato all'altro e fermandosi solo per qualche secondo.
"No, no, nulla del genere. Intendevo dire che sono appena arrivato in queste terre."
"Ma insomma, straniero! Un po' di precisione, di grazia!"
Lorenzo si fermò un attimo, come per soppesarlo.
"Pensi di restare qui a lungo?"
"Sì, credo di sì."
"Allora dovremo trovarti qualcosa da fare, straniero. Non puoi restare qui se non sai fare nulla."
"Bè, so badare al bestiame..."
Lorenzo fece un gesto infastidito. "Di contadini e allevatori ne abbiamo già in abbondanza. Su, saprai fare qualcos'altro?"
"Ecco... So suonare e cantare, ma non so se..."
"Perfetto, ci siamo! Sei un menestrello dunque! Capiti a proposito, ne manca giusto uno a palazzo. Ecco, tieni."
Lorenzo si inchinò profondamente, e con fare solenne gli porse la bizzarra chitarra che teneva in mano.
sabato 12 giugno 2010
Capitolo 3 - La prima volta
La prima volta che entrò ad Apate si trovava in campagna. Aveva vent'anni, ma dimostrava ancora l'indole testarda e risoluta degli adolescenti. Era ora di pranzo, e sua madre stava cucinando. Suo padre finalmente dormiva, e russava nella stanza da letto.
Andrea era seduto a suonare in un prato non lontano dalla loro casa. Era assorto, pensieroso, e il suo viso tradiva ancora una rabbia appena sopita.
Ad un tratto vide davanti a lui un lampo di luce accecante, che ferì i suoi occhi. Smise di suonare, e il lampo scomparve, rapido come era venuto. Andrea rimase fermo per un istante, poi riprese a suonare. Il lampo riapparve, ma questa volta era pronto, e socchiuse gli occhi. Dopo qualche attimo la luce cominciò a diminuire di intensità, rivelando quello che sembrava un paesaggio, un paesaggio però diverso da quello della campagna circostante. Si intravedevano case di pietra, una chiesa, e in fondo, in cima a una collina, un imponente castello. Sembrava una spaccatura nell'aria, una sorta di finestra aperta nel nulla.
Andrea si avvicinò con cautela. Giunto vicino all'apertura vide che il terreno dall'altra parte sembrava solido, reale. Provò a far passare un piede dall'altra parte: sembrava tutto normale. Si fece coraggio e attraversò il passaggio con tutto il corpo. Dall'altra parte, il sole stava tramontando, e tingeva di rosso le montagne che incorniciavano la vallata, dandole l'aspetto di un'isola circondata dalle fiamme. Andrea si voltò, e vide che il passaggio era sparito. Non gli importava. C'era qualcosa in quella strana terra sospesa nel tempo che lo faceva già sentire a casa, più a casa di quanto si fosse mai sentito in tutta la sua vita.
Andrea era seduto a suonare in un prato non lontano dalla loro casa. Era assorto, pensieroso, e il suo viso tradiva ancora una rabbia appena sopita.
Ad un tratto vide davanti a lui un lampo di luce accecante, che ferì i suoi occhi. Smise di suonare, e il lampo scomparve, rapido come era venuto. Andrea rimase fermo per un istante, poi riprese a suonare. Il lampo riapparve, ma questa volta era pronto, e socchiuse gli occhi. Dopo qualche attimo la luce cominciò a diminuire di intensità, rivelando quello che sembrava un paesaggio, un paesaggio però diverso da quello della campagna circostante. Si intravedevano case di pietra, una chiesa, e in fondo, in cima a una collina, un imponente castello. Sembrava una spaccatura nell'aria, una sorta di finestra aperta nel nulla.
Andrea si avvicinò con cautela. Giunto vicino all'apertura vide che il terreno dall'altra parte sembrava solido, reale. Provò a far passare un piede dall'altra parte: sembrava tutto normale. Si fece coraggio e attraversò il passaggio con tutto il corpo. Dall'altra parte, il sole stava tramontando, e tingeva di rosso le montagne che incorniciavano la vallata, dandole l'aspetto di un'isola circondata dalle fiamme. Andrea si voltò, e vide che il passaggio era sparito. Non gli importava. C'era qualcosa in quella strana terra sospesa nel tempo che lo faceva già sentire a casa, più a casa di quanto si fosse mai sentito in tutta la sua vita.
martedì 8 giugno 2010
Capitolo 2 - La ragazza
"Ciao" dice lei timidamente.
Andrea alza gli occhi.
"Ciao".
La sua risposta è distratta, assente. Ricomincia a sistemare, come se lei non esistesse.
L'imbarazzo arrossa le guance della ragazza, contornate da capelli biondi e ricci. Gli occhi, azzurri e sinceri, tradiscono i suoi sentimenti per il cantastorie. E' vestita in modo semplice, e tutto in lei rivela una purezza d'altri tempi. Sembra quasi uscita da una delle fiabe di Andrea.
Aspetta invano una risposta, poi si fa coraggio: "La storia era bellissima. Mi sono commossa".
Andrea annuisce e continua a sistemare. Si comporta come se la considerasse una seccatura.
La ragazza insiste, cercando di perforare la sua apparente indifferenza.
"Sembra quasi che tu sia stato lì".
Andrea si riscuote, e la guarda attentamente, come se l'avesse vista solo in quel momento.
"Ma io ci sono stato. Anche più di una volta".
La ragazza sorride, convinta di avergli estorto una battuta. Invece Andrea non scherza. La sua mente comincia a vagare, e pensa alle sue avventure, alle cavalcate sotto la luna, ai duelli.
Pensa ad Apate, la sua terra, da cui è stato esiliato e in cui non potrà più tornare.
Eppure gli sembra solo ieri il momento in cui varcò per la prima volta i cancelli di Apate, passando attraverso il portale che unisce quella terra fantastica al nostro mondo.
Andrea alza gli occhi.
"Ciao".
La sua risposta è distratta, assente. Ricomincia a sistemare, come se lei non esistesse.
L'imbarazzo arrossa le guance della ragazza, contornate da capelli biondi e ricci. Gli occhi, azzurri e sinceri, tradiscono i suoi sentimenti per il cantastorie. E' vestita in modo semplice, e tutto in lei rivela una purezza d'altri tempi. Sembra quasi uscita da una delle fiabe di Andrea.
Aspetta invano una risposta, poi si fa coraggio: "La storia era bellissima. Mi sono commossa".
Andrea annuisce e continua a sistemare. Si comporta come se la considerasse una seccatura.
La ragazza insiste, cercando di perforare la sua apparente indifferenza.
"Sembra quasi che tu sia stato lì".
Andrea si riscuote, e la guarda attentamente, come se l'avesse vista solo in quel momento.
"Ma io ci sono stato. Anche più di una volta".
La ragazza sorride, convinta di avergli estorto una battuta. Invece Andrea non scherza. La sua mente comincia a vagare, e pensa alle sue avventure, alle cavalcate sotto la luna, ai duelli.
Pensa ad Apate, la sua terra, da cui è stato esiliato e in cui non potrà più tornare.
Eppure gli sembra solo ieri il momento in cui varcò per la prima volta i cancelli di Apate, passando attraverso il portale che unisce quella terra fantastica al nostro mondo.
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